La natia Ravenna
Adolfo nato a Ravenna il 25 Dicembre del 1907, Saporetti vive la sua esistenza attraverso innumeri contatti con una umanita’ varia, cosmopolita ed internazionale. Fin da ragazzo aveva rivelato la sua vocazione artistica disegnando caricature nella natìa Ravenna, dove il giovane Adolfo, Dolfo, Dolfè per gli amici, si aggirava nel mondo socialista del padre, al quale non aveva risparmiato la caricatura, fra i personaggi fieri, sanguigni, intabarrati di quella Romagna inquieta e generosa. Ma il padre dovette presto riparare in Francia per salvarsi dalla persecuzione dei fascisti e il figlio lo seguì. Così crebbe a Parigi e la sua vocazione di giovane pittore ebbe modo di formarsi in un ambiente avvertito, frequenta la scuola Beaux Arts e L’Academie Julien, sin dall’inizio fu capace di rendere raffinata una sensibilità istintiva, di abituare all’invenzione cerebrale un animo inizialmente votato ad impulsi spontanei che nell’intellettualismo trovò infinite eleganze, perdendovi tuttavia quel bagaglio di convinzioni che gli avrebbe consentito una testimonianza sociale, un linguaggio autentico.
La formazione parigina
A Parigi Adolfo Saporetti frequentò i grandi esuli italiani, Turati, Treves, Nenni, Anna Kuliscioff e le loro delusioni non furono tonificanti per l’animo suo. Ebbe nelle frequentazioni artistiche, proposte da Leonor Fini, sua amica, rapporti con Breton e Tzara che lo portarono all’esperienza surrealista, accostandosi alla quale un giovane, che si formava nel mondo degli esuli italiani, finiva col pensare che la realtà bisognava cercarla soltanto nell’immaginazione, al di fuori delle cose, al di sopra degli uomini. La prima collettiva con altri italiani a Parigi fu nel 1938 e nel 1939, alla Galerie De Berri, si aprì la prima personale di Saporetti e la presentazione al pubblico di questo giovane pittore volle farla Filippo De Pisis, sottolineando la sensibilità dell’artista, il suo spirito distaccato dalle cose, l’ironia acuta e penetrante dei suoi disegni. E quella carica ironica, frutto di esperienze e disinganni non lo abbandonerà più, resterà una caratteristica immancabile delle sue opere, quasi il limite della sua mano magica, capace di un segno magistrale, ma spiritualmente agnostica.
L’ironia di Saporetti
Era un’ironia senza amarezza, quella di Adolfo Saporetti, e in questo
superamento di ogni polemica e di ogni convinzione stava la sua grande dimensione umana, che rinunciava tuttavia a qualsiasi messaggio, spettatrice distaccata, scrutatrice spietata, ma disamorata della vicenda umana. Saporetti, lontano dalla sua terra, allarga continuamente i suoi interessi culturali. Buona parte della sua arte immaginativa e’ basata sulle figurazioni della storia e dell’allegoria.

Anne e New York
Nel 1940 Saporetti sposa Anne, una valente pittrice americana.
Nello stesso anno si trasferiscono a New York. Dalla loro felice unione nascera’ la figlia Medea. Dagli anni quaranta ai sessanta, Saporetti vive in America. Il contatto con New York, per l’immensa quantita’ di esperienza che gli offre, elettrizza Saporetti. Inizia le sue peregrinazioni, i suoi contatti, le sue passeggiate in una citta’ che offre quanto di piu’ misto e colorato esista al mondo. Vive nel famoso “triangolo bruciato” del Greenwich Village e diviene uno degli animatori della nuova pittura americana.
Adolfo Saporetti fu introdotto alla realtà artistica americana degli anni’40 da John D. Graham a sua volta immigrato dall’Ucraina venti anni prima. Con lui instaurò un sodalizio che inciderà nella suo percorso artistico e che lo libererà dai vincoli del formale di stampo surrealista e per superare quel realismo delle opere che produceva per sostenersi.
Gli furono compagni anche Arshile Gorky, Jackson Pollock, Franz Kline, Alexander Calder, Willem de Kooning, Samuel Beckett, Dylan Thomas e Varese. Inizia a viaggiare, dall’Arizona passa al Messico, si spinge nel New England e a Chicago, si trasferisce, per breve tempo, a Boston e poi di nuovo a New York. Il ritmo frenetico della vita americana entra prepotentemente, come materia viva, nei suoi quadri.
In Versilia
Nel 1960 con la moglie Anne, tornò inizialmente a Milano, dove incontrò Franco Passoni, che ne comprese subito le grandi possibilità e l’intimo dramma, lo sospinse in Versilia, dove Vittorio Grotti si adoperò per rimettere nell’animo di Saporetti gli interessi umani, i palpiti,
le partecipazioni che gli erano stati tolti, sia pure in parte sublimati in una contemplazione sognante e distaccata. Invano. Ormai Adolfo Saporetti era irrecuperabile alle emozioni umane, le aveva superate in una sua valutazione disincantata, in una conoscenza serena, spietata e senza speranze della pochezza dell’animo e l’ingegno degli uomini, della loro povertà morale, della loro aridità ideologica.
Continuò a dipingere nella sua casa nelle colline di Camaiore, a fare quadri meravigliosi, nobilitati dal suo segno scuro, della sua mano senza incertezze, ma privi di convinzioni, colmi di quell’ironia che si poteva cogliere nel suo sorriso indimenticabile, che si rivelava con un bagliore tagliente e si dissolveva in una tristezza silenziosa, discreta, quasi pudica, tutta e soltanto sua.
Muore a Milano il 3 dicembre 1974.